Gli approcci compassionevoli in psicoterapia nascono come revisione occidentale di filosofie di origine orientale e terapie psicodinamiche, dalla filosofia buddista alla psicoterapia interpersonale; pensiamo ad esempio ad come Rogers e Sullivan. Negli ultimi vent’anni le neuroscienze e il cognitivismo, che ha un’attitudine alla ricerca in ambito clinico, dimostrano che i grandi meditanti hanno importanti modificazioni strutturali del sistema nervoso centrale. In altre parole meditare rallenta il declino cognitivo e riduce l’impatto delle emozioni critiche sulla salute psicofisica. E questo lo documentiamo con i normali sistemi di radiodiagnostica.
Con gli approcci terapeutici tradizionali, per intenderci il comportamentismo classico, l’obiettivo è di modificare o eliminare il sintomo. Se il sintomo era, ad esempio una fobia, la terapia consisteva nell’esposizione allo stimolo fobico fino all’estinzione della paura collegata a quello stimolo. Se ho paura di guidare, il programma terapeutico consiste nell’esposizione graduale, fino al punto che sarò in grado nuovamente di guidare anche in situazioni difficili.
Con gli approcci cognitivisti, la terapia consiste in un lavoro sulla catena di pensieri ed emozioni che sono all’origine del mio comportamento. In questo modo acquisisco coscienza degli stati interni, delle fasi di passaggio tra emozione, pensiero, azione e il cambiamento è possibile per la comprensione dei bisogni che attivano il comportamento problematico.
Con gli approcci compassionevoli, elemento centrale del lavoro terapeutico è l’attenzione rivolta alla relazione basata sul sistema collaborativo tra pz e terapeuta, sull’accettazione e sulla consapevolezza e assenza di giudizio. Gli approcci compassionevoli sono focalizzati su relazioni non giudicanti, dall’assunto che l’approccio gentile a se stessi e agli altri riduce l’impatto di vergogna, autocritica, senso di colpa. Cambiare quello che si può cambiare, accettare quello che non si può cambiare.
Con gli approcci compassionevoli cambia la posizione del terapeuta, che tende alla costruzione di una relazione basata sull’attivazione del sistema collaborativo, su accettazione e consapevolezza, su ascolto attivo e su astensione del giudizio. Elemento centrale è l’attenzione rivolta all’interno, al contatto con l’esperienza corporea ed emotiva. La contaminazione con gli studi occidentali sulla neuropsicofisiologia ha reso possibile l’utilizzo di pratiche millenarie non solo per obiettivi di benessere e crescita individuale e spirituale, ma anche per la terapia di disturbi psicologici, in protocolli finalizzati e validati. Gli approcci compassionevoli sono focalizzati su schemi di funzionamento e tratti di personalità transdiagnostici, partendo dall’assunto che l’approccio gentile a se stessi e agli altri riduce l’impatto di vergogna, autocritica e senso di colpa. L’aspetto che trovo davvero interessante è la prospettiva da cui si guardano le cose: la compassion ha tre direzioni, verso se stessi, verso gli altri e dagli altri verso stessi. Quest’ultimo punto modifica profondamente il modo di rapportarsi con gli altri e con se stessi, rendendo più “morbide” le relazioni, un modo diverso di gestire conflitti, accettando le differenze e rispettando i bisogni propri de degli altri.
Per approfondire, i protocolli terapeutici che utilizzano approcci compassionevoli sono la CFT, la DBT, l’ACT, l’MSBR, l’MBCT ed altri.